APRIRE SOCIETÀ ALL’ESTERO PER PAGARE MENO TASSE: OPPORTUNITÀ O FALSO MITO?
Nell’ultimo decennio, la percentuale di imprenditori che aprono società all’estero (o succursali di quella italiana) per pagare meno tasse, è aumentata del 200%. Una cifra che deve far riflettere, non solo per gli effetti negativi sul fisco ma anche per la dispersione di Know-How tecnico e professionale oltre i confini nazionali. Le motivazioni che alimentano questa tendenza sono purtroppo circoscritte ai soliti problemi di sempre: burocrazia complessa e piena di vicoli ciechi, alto carico fiscale, costo del lavoro e di alcune materie prime oscillante, difficoltà dal punto di vista gestionale, etc… È anche vero che quando si ha sulle spalle la responsabilità di fare impresa, il pensiero di alleviare il carico fiscale e di re-investire parte del capitale (per aumentarne il fatturato) è una riflessione all’ordine del giorno. Ecco che quindi aprire una società in un paese estero per pagare meno tasse può rivelarsi sia un’esigenza necessaria ma anche un’opportunità oltre confine. Ma e davvero così? Cerchiamo di capirlo in questo post.
Partiamo da presupposto che – nel bene o nel male – vanno considerati numerosi elementi e non ci si può improvvisare impresari dall’oggi al domani in un contesto legislativo ampiamente diverso e da come siamo abituati. Senza poi escludere la barriera linguistica e culturale. Abbiamo già elencato quali siano i diversi vantaggi di aprire una società in altri contesti internazionali, rimanendo sia all’interno della Comunità Europea (come ad esempio in Albania, a Malta o in Ungheria), sia al di fuori di essa (come Svizzera e Dubai). Allo stesso modo, abbiamo già valutato come pagare meno tasse nel contesto italiano, analizzando caso per caso lo scenario delle SRL, delle ditte individuali e le SPA.
Sicuramente valutare e trovare “su carta” circostanze migliori, almeno sotto un paio di punti di vista (come ad esempio un paragone immediato e diretto sulle aliquote fiscali) è di facile intuizione, ma di certo i passi successivi non son così immediati. Talvolta (soprattutto online) si trovano indicazioni vaghe ed incomplete che suggeriscono una destinazione come la meta perfetta per il proprio business, senza alcun studio di settore alle spalle. Ecco perché affidarsi a persone specializzate e competenti in grado di sviluppare un’analisi trasversale e sostenibile è la soluzione professionale più idonea davanti a tematiche di questo tipo. Questa strada conviene sia in termini di tempo che di risultato, avendo sottomano un parere preciso ad Hoc e non meramente generico. La specifica attività, il luogo di destinazione, i permessi e tutti gli altri aspetti pratici che possono sembrare secondari, in realtà, sono vincolanti e di estrema importanza. Ecco quindi quali sono a nostro modo di vedere, gli elementi predominanti da considerare (oltre al semplice pagare meno tasse) da includere nel processo decisionale per aprire la propria azienda in un paese estero:
- Analisi del contesto socio-economico e del singolo paese: in primis la stabilità geo-politica, reddito e ricchezza pro-capite, rapporto conti pubblici, possibilità di alte tensioni sociali.
- Analisi di mercato rispetto alla propria specifica attività: Valutare la concorrenza locale, i canali di distribuzione materie prime, i possibili dazi doganali, la facilità di altre società estere di entrare nel paese-mercato, la legislazione specifica del settore (in cui si vuole operare) etc.
- Tutta la burocrazia legata all’apertura e gestione aziendale: in sintesi, tutti i fattori legati all’andamento di una società, come l’apertura di un conto corrente aziendale, i potenziali permessi da richiedere, costo del lavoro, dei costi fissi e variabili, la contabilità.
- Potenziali barriere linguistiche e socio-culturali: considerare se ad esempio l’utilizzo della lingua inglese sia diffuso, se alcune barriere di tipo religioso e/o culturale possano rallentare o compromettere l’avvio del business.
- La legislazione fiscale: ultima ma non meno importante, considerare quell’insieme di discipline e procedure che rientrano negli obblighi fiscali e nel corrispettivo dei tributi (e più specificatamente nel contesto di succursali ed aziende estere).
Fatte queste premesse, capire davvero se ne valga la pena è il risultato di un’attenta analisi capillare che metta nero su bianco da una parte i vantaggi sostanziali e dall’altra i rischi dello spostamento. La settorialità ed il contesto aziendale sono due elementi basilari da cui partire. La risultante può determinare se ne sia più opportuno spostare l’intera società, solo una parte di essa (ad esempio solo produzione), se esternalizzare uno o più processi ad un’azienda estera locale (come ad esempio la promozione) o se sia del tutto controproducente. Come abbiamo quindi visto, aprire una società all’estero per pagare meno tasse non è mai e sempre conveniente a priori, ma dipende dal ventaglio di opportunità rispetto l’arco temporale di riferimento.
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